L’invidia negli Yoga Sutra di Patanjali

L’invidia è molto diffusa, anche nel mondo dello Yoga purtroppo. Eppure Patanjali ci dice di praticare mudita, che è l’esatto opposto.
Scopriamo di cosa si tratta.

Qualche tempo fa mentre scrollavo alcune pagine Internet sono rimasta scioccata da questa notizia: negli Stati Uniti un ragazzo aveva avuto un raptus ed aveva ucciso un altro ragazzo suo coetaneo, a lui completamente sconosciuto, il cui sguardo aveva casualmente incrociato per strada. Arrestato ed interrogato dalla polizia l’assassino aveva affermato che, sentendosi profondamente infelice, non era stato in grado di controllare la sua follia omicida perché in quel fugace incrocio di sguardi quel ragazzo gli aveva sorriso e da quel sorriso si poteva vedere tutta la sua serenità e felicità, cosa che il killer non aveva potuto tollerare.

E’ così difficile accettare che gli altri siano felici? E non dico “che solo gli altri siano felici”, cioè, posto che il caso citato sopra è un’evidente sofferenza interiore fuori dal normale e patologica, ad una persona sana di mente quali sentimenti dovrebbe evocare la felicità altrui?

Viviamo nell’era dei social, dell’apparire, del far sapere a tutti e a questo riguardo sono nati anche neologismi come quello degli haters, cioè coloro che di fronte al successo degli altri non si limitano solo a provare sensazioni negative, ma spendono parecchio del loro tempo a commentare ogni post, denigrando ogni singola azione o successo della persona vittima della loro invidia.

E non sono oggetto di attacco degli haters solo i grandi personaggi, ma anche persone comuni che si limitano a raccontare le loro vacanze o che celebrano amicizie o i risultati raggiunti da figli e nipoti.

Eppure già il Buddha nel settimo secolo a.C. parlava dell’importanza di mudita, parola così bella che è difficile rendere nella nostra lingua con un termine solo e che possiamo tradurre con “felicità partecipe”

Mudita, infatti, nel buddismo è il terzo dei quattro brahma viharas, le qualità del cuore che portano felicità a noi stessi e agli altri e che, se praticate con costanza, diventano le nostre “dimore divine”, i luoghi da cui proveniamo nelle relazioni con noi stessi e con gli altri. Le altre tre sono metta (gentilezza), karuna (compassione) e upekha (equanimità).

Anche Patanjali parla di queste 4 qualità negli Yoga Sutra nel versetto 1.33.

maitrīkaruṇāmuditopekṣāṇāṃ sukhaduḥkhapuṇyāpuṇyaviṣayāṇāṃ
bhāvanātaścittaprasādanam

Ecco la traduzione di B.K.S. Iyengar di questo sutra.

La mente diventa chiara e serena quando si coltivano le qualità del cuore: la cordialità verso i gioiosi, la compassione verso le loro sofferenze, la felicità verso i puri e l’imparzialità verso gli impuri“.

Che cos’è mudita?
Mudita è questa “cordialità verso i gioiosi”, la gioia empatica, o felicità che riusciamo a sentire in risposta al successo e alla felicità degli altri. Il motivo per cui nella nostra lingua non esiste una parola per definire questo concetto risiede forse nella struttura della cultura occidentale che è ipercompetitiva, quindi il concetto di essere felici per il successo degli altri sembra esserci del tutto estraneo.

È come se, sbagliando clamorosamente, pensassimo che ci sia solo una piccola quantità di felicità disponibile e che, quando qualcun altro ne usufruisce, ce ne sia meno per noi. Ma non è così che funziona. L’universo è fatto di abbondanza e ciò che gli altri ottengono non è a detrimento di quello che possiamo ottenere noi.

Non solo ce n’è per tutti, dunque, ma soprattutto coltivando questa predisposizione mentale rendiamo l’Universo più sensibile alle nostre esigenze e alla realizzazione dei nostri sogni.

La pratica di mudita dovrebbe portarci a capire che più felicità proviamo per il successo di un’altra persona, più siamo felici noi stessi. In contrasto con la sensazione di claustrofobia che l’invidia genera, la gioia empatica è luminosa e senza limiti.

Il Buddha ha definito mudita uno “stato raro e bellissimo”. È uno stato sconfinato che risponde ai successi altrui con una gioia attiva. Coltivare la qualità di mudita (e le altre 3 qualità citate) aiuta ad avere una mente sattvica.

Ma allora perché è così difficile?
Il Buddha ha anche affermato che mudita è il più difficile da sviluppare di tutti i brahma viharas. Gli ostacoli alla gioia empatica sono molti e potenti: paragone, giudizio, invidia e avarizia. Queste qualità nascono dalla mancanza di comprensione della nostra interdipendenza con il mondo circostante.

Credo che uno dei motivi per cui provare gioia per la felicità degli altri è così difficile risieda nella connessione con avidya, il primo e più importante dei 5 klésa, che comunemente traduciamo con “ignoranza” o “mancanza di conoscenza”, da cui scaturiscono tutti gli altri quattro.

Avidya è sempre all’opera nella nostra mente subconscia, ed è quella che ci conduce al confronto e all’insoddisfazione.
Durante una lezione di Yoga, per esempio, ci può capitare che il nostro vicino di tappetino sia più flessibile di noi e ciò può causarci profonda frustrazione, nella convinzione, magari, che il nostro corpo non potrà mai arrivare a quei livelli.

Praticare mudita in questo caso può significare liberarsi di avidya ed arrivare alla conclusione che chi riesce ad estendere la colonna più agevolmente di noi non è necessariamente più evoluto di noi.

Sono stata purtroppo oggetto di invidia e di cattiverie negli anni, anche da parte di colleghe di Yoga, per i successi ottenuti nella mia carriera di insegnante. Senza la presunzione di essere illuminata, posso affermare che questo atteggiamento è decisamente lontano da me e mi piace pensare che, invece, si può trasformare il successo degli altri in uno sprone per fare altrettanto bene e anzi, più successo hai tu più io posso aspirare ad essere altrettanto felice, magari anche imparando dalla tua felicità.

Certo, praticare mudita nei confronti di persone che ci hanno fatto del male o che semplicemente non amiamo può essere particolarmente impegnativo, ma fa parte del pratipaska (=andare contro le nostre tendenze intrinseche) che dobbiamo sviluppare con la pratica.

Praticare mudita
Ci sono diversi modi per praticare mudita, oltre quelli cui accennavo sopra.
Il primo, il più semplice, è riflettere sulle cose positive che abbiamo: tutti abbiamo dei doni nella nostra vita, dalle persone che ci vogliono alle cose belle che abbiamo ottenuto. Concentriamoci su queste con un senso di gratitudine, anziché guardare a ciò che ancora ci sfugge.

Una pratica semplice che parte dal corpo

Anche attraverso gli asana, tuttavia, possiamo coltivare mudita, aprendo il torace, aprendo le spalle che sono connesse con le braccia, ovvero quello tra i karmendriyas (= organi di azione) che più ci permette di accogliere l’altro, abbracciando, includendo, avvicinandolo al nostro cuore.

Gli archi indietro sono notoriamente la categoria di posizioni che per eccellenza implicano un’apertura del cuore e tra queste Urdhva Dhanurasana ha un ruolo rilevante.

Halasana con supporto alla fine della tua pratica ti aiuterà a ritornare al tuo interno, pacificando i tuoi pensieri e guidandoti verso quello stato di pace mentale, fine ultimo della nostra pratica Yoga.

Ho preparato una sequenza ad hoc che a breve pubblicherò sul mio canale YouTube, che intanto puoi visitare cliccando qui.

Adriana Calò
5/8/2023

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